Mancavano
dieci minuti alle sette e io sentivo lo stomaco rimescolarsi sempre
più ad ogni ticchettio dell'orologio. Mi tirai giù la manica della
giacca mentre guardavo, nervosamente, le due borse che avevo
appoggiato sul pavimento accanto alla porta d'ingresso: in una avevo
sistemato le mie cose, nell'altra quelle di Sam. Mi chiesi se la mia
fosse stata davvero una buona idea, perché dopo le prime due
settimane di tirocinio Sam sarebbe stato sicuramente stanco, per non
dire esausto. Conoscevo bene i ritmi di lavoro dell’Hope&Run,
ma ancora di più conoscevo i turni massacranti dei fisioterapisti.
Mi alzai dal divano e andai su e giù per la stanza. Non sapevo, in
realtà , perché fossi così agitato. Io e Sam stavamo insieme da
quasi tre anni e la nostra relazione andava a gonfie vele. Da quando
si era trasferito a casa mia, poco dopo la nostra riconciliazione, le
cose tra noi avevano ingranato nel modo giusto. Entrambi ne avevamo
passate fin troppe, ed esserci incontrati durante il periodo della
mia riabilitazione al centro fu la cosa più bella che potesse
accaderci. Sam aveva anche recuperato il rapporto col padre, Clayton,
che aveva accettato sin da subito la nostra relazione. Il ritmo delle
mie pulsazioni cardiache aumentò al ricordo di una delle ultime
conversazioni avute col Professor Donovan, che ora chiamavo Clay,
sotto sua specifica richiesta.
«Qualcosa
è cambiato in lui, Adam,» mi aveva detto una sera. «Ãˆ diverso in
tante cose, e non mi riferisco soltanto all’evoluzione del nostro
rapporto. Credo sia ben altro.»
«Cosa
intendi dire?» gli avevo chiesto, mentre mi sistemavo comodamente
sul divano. Parlare con Clayton mi era sempre venuto facile: era
stato il mio psichiatra ed era diventato, ormai, il mio confidente
preferito.
«Ãˆ
più adulto in tutto quello che fa. Ed è sereno, felice. Lo vedo,
Adam. Incontrarti è stata la cosa migliore che gli potesse
accadere.» Le lacrime mi pungevano gli occhi e la mano destra aveva
tremato finché Clayton non l'aveva coperta con la sua.
«Io...»
avevo balbettato, «io penso di essere davvero fortunato. Lo amo,
Clay. Lo amo più della mia vita.»
Clayton,
gli occhi lucidi di pianto, mi aveva posato una carezza sulla guancia
in modo tanto affettuoso da scaldarmi il cuore. «Adam,» aveva
continuato poi, la voce rotta dall'emozione, «so che forse è
prematuro parlarne ora, ma per me tu sei come un figlio. Ti voglio
bene e sono orgoglioso di voi. Per questo,» si mosse verso il bordo
del divano per avvicinarsi a me, «per questo voglio rendere formale
questa vostra unione. Almeno per quel che mi riguarda.»
Mi
ero sentito bruciare. «Cioè?» avevo chiesto in un sussurro.
Clayton
si era umettato le labbra. «Ti includerò nel mio testamento, Adam.
Voglio che ti prenda cura di Sam, nel caso dovesse succedermi
qualcosa. Lo sai meglio di chiunque altro: io e Sam siamo la nostra
famiglia. La mia ex moglie,» aveva fatto una pausa, stringendo le
labbra in una smorfia, «Ã¨ come se non esistesse. Se dovesse
accadermi qualcosa, Sam rimarrebbe da solo e questo non posso
permetterlo. Ma ora,» mi aveva preso la mano, il suo tocco era caldo
e sicuro, «ma ora ci sei tu accanto a lui. Non voglio farvi nessun
tipo di pressione, siete entrambi molto giovani, me ne rendo conto.
Sarei felice, se un giorno faceste il grande passo, ma è una scelta
che appartiene a voi. Quello che vorrei, però, è avere la tua
parola che mio figlio avrà sempre qualcuno su cui poter contare.»
Mi
ero asciugato gli occhi col dorso della mano. Cosa mi stava dicendo
Clayton? Voleva che ci sposassimo? Non ci avevo mai pensato, avevo
trentatré anni e il matrimonio non era mai stato un progetto
concreto. Avrei potuto farlo? Al di là di tutto, avrei potuto
chiedere a Sam di sposarmi, magari un giorno? Non volevo farlo ora,
non volevo che lui si sentisse oppresso o spaventato. Sam aveva
venticinque anni e li viveva come un qualsiasi ragazzo della sua età .
Eravamo una coppia affiatata, ma Sam aveva la sua cerchia di amici
con i quali usciva spesso senza di me, amava andare in palestra e, di
tanto in tanto, spariva qualche week end con un suo amico per andare
a campeggiare. Io mi fidavo di lui, ma non potevo negare la punta di
gelosia che mi torturava quando lo vedevo prepararsi per uscire,
sapendo che non sarei stato accanto a lui. Uhm… un anello? Forse un
anello mi avrebbe fatto sentire più sicuro... ma Sam? Si sarebbe
spaventato? Si sarebbe chiuso a riccio?
Avevo
ringraziato Clayton e gli avevo promesso che, prima o poi, ne avrei
parlato con suo figlio.
Ora,
forse, era arrivato il momento. Feci un respiro profondo e, proprio
in quel momento, sentii la chiave nella toppa girare e Samuel
stagliarsi sulla porta di casa. Aveva il borsone su una spalla e il
cappello di lana gli copriva la fronte. Alzò lo sguardo non appena
mise piede dentro casa e incontrò i miei occhi.
Sorrise,
e il calore, l'amore e la gioia che lessi in quel sorriso mi fece
tremare le ginocchia. Lanciò il borsone che cadde ai piedi del
divano con un tonfo, chiuse la porta con un calcio e, ancora tutto
vestito, mi raggiunse per prendermi tra le sue braccia.
«Amore
mio,» mormorò mentre respirava il mio odore sul mio collo
provocandomi un brivido in tutto il corpo.
«Ehi,
bentornato,» dissi mentre gli passavo le mani tra i capelli. «Tutto
bene?»
Mugolò.
Dio, adoravo quando faceva cosi. «Mhm... adesso sì.»
Sorrisi.
Non aveva ancora allentato la presa e io ero ben contento di sentirlo
contro di me in quel modo. «Stanco?»
«Dio,
sì. Non hai idea.»
«Allora
ti riposerai in macchina.» Si staccò da me e mi guardò dritto
negli occhi. Dio, quegli occhi erano così belli, intensi e… miei.
Quando li posava su di me, quando mi guardava, mi sentivo l'unico
uomo sulla terra. E tremavo, dentro e fuori.
«Macchina?»
Feci
un cenno con la testa indicandogli le borse che avevo preparato.
«Partiamo.»
«Cazzo,
Ad. Sono esausto!» sbuffò ma senza rancore. Guardava le borse e -
lo sapevo - era più curioso che arrabbiato. «E dove andremmo?»
«Ãˆ
una sorpresa,» risposi enigmatico.
Sam
si tolse la giacca, il cappello e la sciarpa. «C’entra qualcosa
con il fatto che domani è San Valentino?»
«Mhm,
forse,» risposi enigmatico, ma non riuscii a trattenere un
sorrisino.
«Okay,
posso fare una doccia prima?»
Sorrisi
come un ebete. «Certo. Hai dieci minuti di tempo, poi si parte.»
Grugnì
mentre apriva la porta del bagno. Dopo appena due minuti, sentii
l'acqua scorrere.
Mi
tirai di nuovo la manica della giacca. Mi avvicinai al mio borsone e
controllai, per l'ennesima volta, che ci fosse tutto.
No,
non tutto. Avrei potuto dimenticare qualsiasi cosa, ma la scatoletta
di velluto nero... quella doveva esserci. E c'era.
Il
tragitto in macchina fu tranquillo. Sam mi raccontò del centro, di
come fosse stato accolto con calore dallo staff e di come si fosse
sentito diverso ora che guardava tutto da un'altra ottica. Mi
intenerì il suo sorriso, e mi commosse il suo sguardo pieno di
fiducia e di voglia di fare. Mi raccontò dei ragazzi che aveva in
cura, del timore che aveva provato al suo primo massaggio. Poi, ad un
certo punto, la stanchezza ebbe il sopravvento e crollò
addormentato. Ne fui contento, ero troppo teso e nervoso per essere
di compagnia, quella sera.
Arrivammo
al cottage intorno a mezzanotte.
«Svegliati,
dormiglione, siamo arrivati!» esclamai dandogli un leggero colpetto
sulla gamba. Sam si destò, si stiracchiò e posò il suo sguardo
sulla casa di fronte a noi.
«Dove
siamo? Si può sapere adesso?» chiese curioso mentre entrambi
scendevamo dalla macchina.
Sorrisi
e poi gli rivelai la mia sorpresa, o almeno una parte di essa. «Siamo
a Raystown Lake. Il cottage che vedi è di Andrew, e lo ha messo a
nostra disposizione per il week end.»
Sam
emise un lungo fischio di approvazione. «Ma che spettacolo!»
«E
non hai ancora visto il panorama,» sussurrai abbracciandolo da
dietro. Sam mi prese le mani e le strinse tra le sue provocandomi un
brivido lungo la spina dorsale.
«Bene,
allora non vedo l'ora che sia giorno per ammirarlo con te.»
«Andiamo
dentro, dai. È tardi e siamo stanchi entrambi.»
Prendemmo
le borse e io recuperai le chiavi del cottage. Quando entrammo, ci
avvolse un piacevole tepore. Andrew aveva chiesto ad un amico del
posto di riordinare e di ripulire la casa e di rifornire il
frigorifero dei viveri essenziali.
L'interno del cottage
era accogliente e tutto l'arredamento era in stile rustico. Accesi la
luce e la prima cosa che notammo furono le enormi travi a vista sul
soffitto. Sulla destra c'era un piccolo soggiorno, con un divano
semicircolare posto di fronte ad un camino. L'ambiente era piccolo ma
arredato con gusto e con ogni confort. Sulla sinistra, una porta a
scomparsa rivelò una cucina piccola ma funzionale. Andando avanti
scoprimmo altre due camere: quella padronale, in cui troneggiava un
enorme letto king-size, un armadio a muro e un comò dove era stato
sistemato un vaso di fiori freschi. L'ultima porta era quella del
bagno. Posammo le borse ai piedi del letto e ci sedemmo entrambi,
facendoci cadere all'indietro sul morbido materasso. Eravamo esausti.
Ci
spogliammo e ci preparammo per la notte. Accendemmo il camino così
che il calore arrivasse fin dentro la stanza, e ci accoccolammo sotto
al piumone. Le lenzuola profumavano di pulito e, non appena appoggiai
la testa sul cuscino, mi rilassai. Sam mi prese tra le sue braccia e
iniziò a passare le sue mani tra i miei capelli. Ecco quello era il
Paradiso.
«Mi sei mancato da impazzire,» sussurrò, la bocca sulla mia testa.
«Anche
tu.»
«All'inizio
di notte non riuscivo a dormire... mi mancava il contatto con il tuo
corpo. Ero da solo, dentro quel letto, e mi chiedevo perché fosse
così difficile respirare quando non ti ho accanto.»
Gemetti
piano. «Anche per me è stato difficile. Allungavo la mano per
cercare la tua, ma trovavo sempre il tuo lato freddo e vuoto. Mi
intristivo ogni volta.»
«Ora
abbiamo due giorni solo per noi e ho intenzione di godermeli tutti.»
Mi strinse a sé e scivolò in basso in modo da essere l'uno accanto
all'altro. Si voltò dalla mia parte e io sentii subito il suo fiato
sulle mie labbra. Dopo qualche attimo di esitazione, mi lasciai
andare alla sensazione meravigliosa che provavo ogni volta che Sam mi
baciava. Amavo il modo in cui giocava con la mia bocca, le mie
labbra, la mia lingua. Adoravo la passione che metteva in ogni tocco,
anche il più lieve, anche il più delicato. Gli accarezzai la
schiena lentamente e mi abbandonai a lui come avevo fatto ogni notte
negli ultimi tre anni della mia vita.
La
mattina dopo ci alzammo di buon’ora e andammo in città per fare
colazione e goderci una passeggiata in riva al lago. Come avevamo
previsto, il panorama che ci si presentò davanti agli occhi tolse il
fiato ad entrambi. La casa di Andrew era situata su una piccola
collina da cui si poteva ammirare buona parte del lago. Il colore
dell’acqua era di un blu profondo, tendente al verde smeraldo e,
sulla riva, apparivano cespugli di vegetazione più o meno
rigogliosi. Il cielo, di un azzurro pieno, nitido, contrastava con il
verde dell’acqua creando giochi di colore che incantavano la vista.
Era uno spettacolo meraviglioso e rilassante.
Ma
ci fu qualcosa che colpì Samuel ancora più del panorama. Dalla
porta finestra della nostra camera da letto si accedeva ad una
piccola veranda coperta, che ospitava sul lato destro un divano e
alcune poltrone in vimini, sul lato sinistro, invece, un’enorme
Jacuzzi.
L’espressione
di Sam fu di puro godimento e io non potei non ridere di gusto.
Quella notte sarebbe stata indimenticabile, me lo sentivo fin dentro
le viscere e non potei non lasciarmi sfuggire un gemito basso al
pensiero di ciò che ci aspettava.
Pranzammo
in riva al lago chiacchierando del più e del meno. Parlai a Sam del
mio lavoro e lui mi parlò dei giorni trascorsi a New York in
compagnia del padre e di Louise, la sua compagna.
Tornammo
a casa solo nel tardo pomeriggio, un po’ stanchi ma rilassati e
felici.
«Cosa
hai voglia di mangiare per cena?» mi chiese Sam mentre ispezionava
il contenuto del frigorifero.
Gli
lanciai uno sguardo divertito mentre mi affaccendavo per accendere il
camino. «Oh, quello che vuoi tu. Mi piace tutto ciò che cucini, lo
sai!»
Lo
sentii ridacchiare. «Sei un adulatore.»
«Guarda
che ti ho sentito.»
«Ho
solo detto che sei un amore, che avevi capito?» gridò dalla cucina.
Lo sentivo spadellare e il rumore delle stoviglie mi fece pensare
alla nostra quotidianità . Per un anno avrei dovuto rinunciare a
tutto questo, sospirai.
Ci
cambiammo e indossammo abiti più comodi: pantaloni della tuta e
maglietta per entrambi. Lui era incredibilmente bello, aveva scelto
una maglietta bordeaux con la stampa di un famoso dipinto di Picasso.
L’avevamo comprata durante un viaggio a Madrid qualche anno prima.
Cenammo
nella piccola cucina, Sam mise in tavola un piatto di spaghetti al
sugo e aprimmo una bottiglia di vino che avevamo acquistato nel
pomeriggio durante il giro in città . Dopo aver cenato, io lavai i
piatti mentre Sam curiosava per la casa e, ne ero sicuro, riponeva la
sua attenzione sul funzionamento della Jacuzzi. Mi asciugai le mani
proprio nel momento in cui le sue braccia mi circondarono il bacino
da dietro.
«Finito?»
mi chiese. Le labbra sul mio collo.
«Sì,
adesso. Che programmi abbiamo?» risposi facendo il finto tonto.
«Beh,
intanto, buon San Valentino, amore, non te lo avevo ancora detto.»
«Neanche
io, hai ragione. Buon San Valentino! Allora, come pensavi di
festeggiare?» Lo sentii sorridere sulla mia pelle e il mio uccello
sussultò nei pantaloni. Mi stava solo sfiorando e io già sentivo
che avrei potuto perdere il controllo.
«Io
un’idea ce l’avrei,» mormorò facendomi voltare. Mi guardò
negli occhi con uno sguardo carico di desiderio e di affetto. I suoi
occhi erano di un color castano chiaro, a volte quando i raggi del
sole sfioravano le sue iridi diventavano quasi verdi. In quel
momento, invece, erano scuri e profondi, le pupille dilatate. Feci
scorrere il mio sguardo sul suo viso, la barba appena accennata, il
naso delicato, la mascella sicura. Le sue labbra erano leggermente
socchiuse e quando mi scostò una ciocca di capelli dal viso e si
avvicinò, fui sicuro che stesse per baciarmi. Invece passò oltre la
mia bocca e strofinò la sua guancia contro la mia, inspirando il mio
odore. Fu un gesto che voleva dire tutto, ma soprattutto fu un modo
per dirmi quanto mi desiderasse in quel momento.
«Dio,
Sam… mi fai impazzire quando fai così…» alitai sul suo collo,
gli occhi chiusi, le mani sui suoi fianchi.
Sam
si avvicinò a me ancora di più premendo il suo bacino contro il
mio. Era eccitato, proprio come me e quel tocco leggero fu abbastanza
per farmi morire il fiato in gola. Non facevamo l’amore da due
settimane e, per quanto mi riguardava, era come se fossero passati
mesi. Bramavo le sue carezze, i suoi baci, la sua stretta decisa.
Volevo sentirmi la sua bocca addosso, ovunque. Volevo la sua lingua,
il suo respiro, i suoi baci umidi e affamati.
«Adesso
possiamo finalmente fare l’amore?» domandò senza guardarmi in
faccia. «Perché se non ti scopo prima possibile, potrei impazzire.»
Avvampai
e mi strinsi a lui ancora un po’. Gli passai le mani sulla schiena
e gli leccai la pelle dietro l’orecchio, dove sapevo lo avrei fatto
impazzire. «Potrei venire anche solo nel sentirti pronunciare la
parola “scopare”, se poi è rivolta a me…»
«Allora
riformulo la domanda,» continuò mentre le sue mani scendevano verso
il mio culo. I pantaloni che indossavo erano leggeri e potevo sentire
la pressione del suo tocco. Fece scivolare le sue mani dentro i
pantaloni, poi, superò anche l’elastico dei miei boxer. Percepii
ancora di più il calore quando la sua pelle toccò la mia.
«Adesso
posso scoparti?» passò la mano tra le mie natiche facendo scivolare
un dito fino a sfiorare la mia apertura. Sussultai e gemetti sul suo
collo, muovendo lievemente il culo verso la sua mano. Ma Sam non era
tipo da gesti frettolosi, o almeno non lo avrebbe mai fatto quando
avevamo a disposizione una Jacuzzi e un letto comodo su cui
rotolarci. Per non parlare del tappeto davanti al camino. Rabbrividii
di aspettativa.
«Dio,
sì» risposi senza esitare.
Dio
solo sapeva quanto bisogno avessi di sentirlo dentro di me.
Mi prese per mano e andammo nella
nostra camera. La finestra era socchiusa e, dalla veranda, proveniva
il rumore dell'acqua che gorgogliava dentro la vasca. Sam si fermò
al centro della stanza, tenendomi per mano. Il mio cuore batteva
impetuosamente dentro la cassa toracica, nello stomaco sentivo mille
farfalle svolazzare provocandomi una sensazione di desiderio,
aspettativa e lussuria. Avevo bisogno di fare l'amore con lui, ma non
era solo quello ciò che desideravo: volevo sentire Sam dentro di me,
volevo sentire di appartenere a lui, di essere suo senza eccezioni,
anche se la vita ci stava allontanando. Non ero insicuro, perché
conoscevo i suoi sentimenti così come conoscevo i miei, volevo solo
che riempisse quel senso di vuoto che si era creato nel mio cuore
quando, solo due settimane prima, era partito per vivere la sua
avventura. Senza di me.
Sam mi abbracciò e io lasciai per
l'ennesima volta che quell’abbraccio mi avvolgesse, sia dentro che
fuori. Era straordinariamente protettivo, era dolce come non lo avevo
mai visto, mi chiesi se non si fosse accorto di ciò che provavo e
stesse tentando di comunicarmi i suoi sentimenti con quei piccoli
gesti.
Ma io non volevo essere rassicurato in
quel modo. Volevo che mi prendesse, volevo che mi facesse sentire la
sua possessività fin dentro le ossa, volevo che mi dicesse che ero
suo, in tutte le vite possibili.
«Amore mio,» lo sentii sussurrare,
poco prima di avvertire le sue labbra sul mio collo. Scostò
dolcemente i miei capelli e io alzai le braccia per legarli con
l’elastico che tenevo sempre al polso, ma lui mi fermò. «No. Non
legarli. Voglio sentirli tra le mie mani.» Un fremito mi attraversò
il corpo e affondai le mani nei suoi fianchi.
«Andiamo?» Indico la piscina con un
cenno del capo.
«Andiamo.»
Ci spogliammo tenendo solo i boxer e
uscimmo nella veranda coperti solo da un asciugamano. La serata era
fredda, ma dalla Jacuzzi proveniva una bella nuvola di vapore che ci
invogliò ad entrare.
«Dio che meraviglia!» esclamai
mentre mi sistemavo. L'acqua era calda al punto giusto, la mia pelle
rigenerata dopo le ustioni riusciva a sopportare anche le temperature
più calde e non potei trattenere un gemito gutturale.
Sam entrò nella vasca, mi si
avvicinò, allargò le gambe e si sedette sulle mie cosce, facendo
scivolare le ginocchia intorno ai miei fianchi.
«Non me ne frega niente della
Jacuzzi, Ad. In questo momento voglio soltanto baciarti fino a
sentirmi male. Cristo, mi sei mancato così tanto da sentire male al
cuore quando ti pensavo. Ho bisogno di sentirti sopra di me, ho
bisogno di sapere che sei mio, ho bisogno di affondare dentro di te.»
«Cristo, Sam...»
Mi avvolse le mani sul collo, afferrò
i miei capelli e li tirò in modo che la mia bocca fosse esposta. Non
gli toglievo gli occhi di dosso, il mio cazzo era così duro da farmi
male, avevo la gola secca e non riuscivo a far altro che pensare al
momento in cui il suo uccello sarebbe scivolato dentro il mio culo.
Forte, forte, sempre più forte. La tenerezza non era contemplata,
non in quel momento.
Mi baciò con una voracità che mi
sconvolse, morse le mie labbra fin quasi a farmi gemere di dolore,
prese la mia lingua e ne fece ciò che più preferiva. Mi invase la
bocca, mi bagnò con la sua saliva, mente il suo bacino spingeva
contro il mio. Con un movimento di cui mi accorsi a malapena, tolse
prima i miei boxer e poi i suoi. Il suo cazzo bagnato si scontrò col
mio e mi sembrò di sentirlo gemere nella mia bocca. Feci scivolare
le mie mani sulla sua schiena bagnata e gli afferrai il culo
spingendolo verso di me con un movimento deciso che non poteva essere
frainteso.
«Quando ti decidi a scoparmi?»
chiesi, la mia voce assomigliava ad un basso ringhio. Stavo perdendo
la testa. Spinsi di nuovo il mio bacino contro il suo mentre lui mi
afferrava il cazzo in un modo che voleva dire "mio, mio e solo
mio."
«Vai di fretta?» Mi ansimò addosso.
La sua voce era roca, graffiante. Mentre io stavo perdendo il
controllo, lui lo prendeva. Amavo il modo in cui mi possedeva, come
mi faceva sentire suo. Era ciò di cui avevo bisogno, e lo volevo
subito.
«Sì. Ho bisogno di te, ho bisogno
che mi scopi. E non voglio che ci vai piano.»
«Oh,» mormorò mentre mi addentava
il lobo dell'orecchio, «non ne avevo nessuna intenzione,
tranquillo.»
«Allora usciamo di qua. Subito.»
Si scostò da me per uscire dalla
vasca e io senti il gelo coprire il mio corpo. Dio, potevo
desiderarlo più di così? Potevo sentirmi così bisognoso del suo
tocco?
Non feci neanche in tempo a gettare a
terra il telo che Sam mi prese da dietro con un gesto deciso,
appoggiò tutto il suo peso su di me e ci sbilanciammo in avanti fino
a quando non incontrammo il letto. Gettai le mani sul materasso per
tenermi in equilibrio e lui mi strinse a sé. Le sue mani trovarono
il mio petto, ma non si persero in carezze gentili. Dopo pochi
secondi sentii le sue dita trovare entrambi i miei capezzoli,
stringerli con fare deciso facendomi piegare in avanti sotto una
sferzata improvvisa di piacere.
«Cazzo sì. Si...»
Sfiorò le punte turgide e io quasi
persi il respiro. Il suo corpo nudo e umido aderiva al mio,
scivolando leggermente. Sentii il suo cazzo a contatto con il mio
sedere e ogni volta che mi stuzzicava i capezzoli, non potevo non
piegarmi in avanti, non resistevo alla tentazione di strisciare il
culo contro il suo uccello, duro come il marmo. Volevo di più,
volevo ancora di più.
«Sam...»
«Mhm...» Fece scivolare le mani sui
miei fianchi. Strinse.
«Ti prego.»
«Cosa vuoi?»
Gli presi una mano e me la portai
vicino alla bocca. Leccai il suo dito medio, inondandolo di saliva,
facendo in modo che fosse ben lubrificato.
«Oh Cristo.» Mi morse la spalla, con
delicatezza. Ritirò la mano e la passo sulla pelle della mia
schiena, lentamente.
A quel punto non mi importava più di
nulla perché sapevo che presto sarebbe successo.
Mi accarezzò le natiche e fece
sparire la mano più in basso, tra le mie cosce. Mi afferrò le palle
e le strinse provocandomi un’onda d'urto che mi bloccò il respiro
nel petto. Poi risalì, lentamente, affondando il dito bagnato dentro
le mie natiche fino a fermarsi sulla mia apertura. Dio, mi sentivo
una miccia pronta ad esplodere se solo mi avesse sfiorato. Volevo
esplodere, volevo disintegrarmi in mille pezzi per poi lasciare che
lui mi ricomponesse.
Il dito di Sam fece pressione e io mi
rilassai per far in modo che non trovasse resistenza.
Non la trovò. Mi scivolò dentro
senza incertezza e io mi persi in quella prima sensazione.
«Dio sì...»
«Così?» Mi chiese mentre il dito
scivolava dentro di me, sempre più a fondo, sempre più nel
profondo. «Ti piace?»
Annuii. Non riuscivo a parlare, non riuscivo a respirare, ad articolare anche solo una frase breve, concisa. Samuel mi prese per un fianco e aggiunse un altro dito. Mi stava preparando con amore, lo sentivo. Anche nei momenti più passionali e forti non aveva mai tralasciato quel passaggio, era sempre attento, premuroso. Fece scivolare le dita fuori e si allontanò lasciandomi piegato con le braccia in avanti. Mi raddrizzai e mi girai per guardarlo mentre si piegava per cercare il lubrificante nella mia borsa. In quel momento realizzai cosa sarebbe successo e, per un attimo, ebbi paura che le gambe non mi avrebbero sorretto.
Samuel
si immobilizzò. Lo vidi alzarsi lentamente, la schiena nuda tesa, le
spalle leggermente contratte. Quando si voltò, poco dopo, stringeva
la scatola di velluto nero in una mano. Piantò i suoi occhi profondi
su di me e io mi sentii ancora più nudo. Avevo paura di alzare lo
sguardo, avevo paura di leggere apprensione, incertezza e, sì, anche
timore. Non volevo sentire di aver perso ancor prima di averci
provato, non volevo che pensasse che ciò che avevamo non potesse
bastarmi più.
Alzai gli occhi e lo
guardai. «Sam,
io...» balbettai, preso dal panico, abbassando di nuovo gli occhi.
Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, che, in realtà , sembrava
più curioso che arrabbiato.
Sam
tornò da me con pochi passi. Una mano stringeva la scatoletta,
l’altra il tubetto di lubrificante. Mi venne da ridere.
«Era
previsto che trovassi solo il lubrificante,» dissi tentando di
rompere il ghiaccio. Rise, così alzai gli occhi di nuovo. Mi stava
guardando con amore, con dolcezza. Mi tremò il cuore e mi feci
coraggio. «Invece, hai trovato ben altro.»
«Eh
già .» Gettò il tubetto sul letto e tornò a guardarmi.
Si
sedette e io lo imitai. Presi la scatoletta dalle sue mani e lui me
lo lasciò fare. «Non è quello che pensi.»
«Uhm,
cosa penso secondo te?»
Sospirai
leggermente. «Non è una proposta.»
«Ah
no?» Sembrava stupito, quasi deluso.
Cosa?
«No.»
«Oh. Beh, peccato.»
Il mio cuore galoppò.
«Peccato?»
Chiesi, una sfumatura di apprensione nella mia voce.
Sam
si strofinò un occhio col palmo di una mano. «Che ne dici se ci
mettiamo sotto le coperte? Siamo entrambi nudi, non mi sembra il modo
migliore per sostenere una conversazione di questo tipo. Mi distrai.»
Risi. «Davvero?»
«Certo.
E poi sono ancora su di giri... Quindi, dai, vieni.»
Tenevo
ancora la scatolina tra le mani e ci giocherellai per qualche secondo
prima di deglutire e di iniziare a parlare. Sam sapeva che avevo
bisogno di qualche secondo, e me lo concesse, rimanendo in silenzio
mente passava le sue dita tra i capelli umidi.
«Prima
ho detto che non intendevo farti una proposta,» iniziai mentre mi
accomodavo così da guardarlo negli occhi. La sua espressione era
tranquilla, le labbra erano rilassate, tese in un’espressione che
somigliava ad un sorriso di aspettativa. Mi guardava negli occhi e io
mi sentii più sicuro di me. «Ed è vero, Sam. Non sto per chiederti
di sposarmi. Sei giovane, siamo giovani entrambi. Non ho mai pensato
seriamente al matrimonio o, comunque, non in modo tale da vederlo
come qualcosa di concreto o a breve termine. Non mi serve un pezzo di
carta da firmare per sapere che mi prenderò cura di te per sempre.
Ma...»
Sam mi prese la mano e
inizio a giocherellare con le mie dita. Le accarezzava una per una,
delicatamente. Mi ci volle uno sforzo non indifferente per evitare di
pensare che le sue mani, solo poco prima, erano strette sui miei
fianchi.
«Ma?»
«Ma
vorrei comunque che ci impegnassimo un po' di più.» Buttai fuori.
Aprii
la scatolina e tirai fuori due anelli in oro bianco. Erano molto
semplici, lisci e tondeggianti. All'interno avevo fatto incidere solo
i nostri nomi, il mio nome nel suo anello, il suo nome nel mio.
Sentii Sam sospirare e alzai timidamente gli occhi. Li tenevo nel
palmo della mano, aspettando una reazione da parte sua. Quando vidi
Sam prendere l’anello più grande, le sue dita erano più grandi
delle mie, quasi mi tremò il cuore nel petto.
«Un
impegno?» Sussurrò mentre guardava l'incisione dentro l'anello. «Io
ti amo più della mia vita, Adam. Sei stato la mia salvezza, l'ancora
a cui mi sono aggrappato quando stavo affogando.»
«Anche tu.»
«Non...
Non potrei sopportare il pensiero di perderti, non potrei vivere
senza di te. E so che sei spaventato dal fatto che sto per iniziare
questa nuova avventura lontano da te ma... io sono tuo. Tuo. Lo sono
qui, in questo letto, lo sono nella nostra casa, nella nostra cittÃ
e ovunque io vada. Tuo Adam. Sempre.»
«Io...»
Non riuscivo a trattenere le lacrime o, forse, neanche volevo farlo
perché sentii le mie guance bagnarsi. «Anche io ti amo. E so che
può sembrare stupido o infantile, ma vorrei che tutto il mondo
sapesse che ci apparteniamo. E che io sono tuo.» Gli tolsi l’anello
dalle mani e glielo infilai all'anulare. Stavo per fare lo stesso
col mio, ma lui mi fermò. Prese l’anello, lo baciò e me lo fece
indossare. Quel bacio... Fu come se mi avesse baciato il cuore.
«Mi
piacciono,» disse Sam con la voce carica di emozione mentre guardava
le nostre mani. «E finalmente ora tutto il tuo ufficio saprà che
sei off-limits,» ridacchiò.
«Il mio ufficio?»
«Certo.
Sono stanco di assistere agli sguardi di fuoco che ti manda il tizio
della contabilità . Lo vedo, sai? E mi sono stancato di doverti
sempre mettere una mano sul culo per fargli capire di chi sei.»
Lasciai andare una
risata. «Tu cosa?»
Sam
affondò la testa sulla mia spalla ridendo di gusto. Mi avvolse le
braccia intorno alla vita in un gesto possessivo. "Mio."
Mormorò.
Dio,
se ero suo.
«Ãˆ
un bellissimo regalo di San Valentino,» disse pensoso. «Io, però,
non ti ho preso nulla.»
«Questo
non è un regalo solo per te. È un regalo per noi.»
«Ãˆ
vero. Questo è uno dei più bei giorni della mia vita.»
Gli
feci un sorrisone, poi scivolai sul materasso e cercai la sua bocca.
Mi persi in quel bacio che sapeva di tante cose: sapeva di amore,
sapeva di fiducia, sapeva di rispetto e di condivisione. Ero felice
perché Sam la pensava come me, ero felice perché aveva le mie
stesse paure, le mie stesse insicurezze.
Mentre
mi perdevo dentro quel bacio, mi resi conto che Samuel era diventato
il centro della mia vita, della mia esistenza. Non era solo il mio
compagno, lui era la mia famiglia... Perché noi, come coppia,
eravamo una famiglia. E niente avrebbe potuto scalfire tutto questo,
non avrei permesso a niente e nessuno di togliermi ciò che avevo di
più prezioso.
Sam
mi fece girare sulla schiena. Mi baciò il collo, la mascella, la
clavicola. Ringhiai mentre mi leccava un capezzolo, sobbalzai quando
strinse il mio cazzo tra le mani. Era sdraiato sopra di me, in mezzo
alle mie gambe. Avevo tirato su le ginocchia per farlo sistemare
meglio e ora mi godevo lo spettacolo di lui che scendeva con la bocca
lungo il mio corpo. Sapevo cosa stava per fare e non potevo non
fremere al solo pensiero. Mentre con le dita mi accarezzava i fianchi
e le gambe, io gli posai le mani tra i capelli, mostrandogli quale
fosse la strada che avrebbe dovuto percorrere. Lo vidi sorridere,
malizioso, poco prima di far sparire il mio uccello tra le sue labbra
bagnate.
Gemetti
senza vergogna e mi lasciai strattonare dalla sensazione di essere
dentro la sua bocca. Era un posto meraviglioso e Sam sapeva usare
cosi bene la lingua da farmi dimenticare persino il mio nome. Inarcai
la schiena e gli andai incontro col bacino. Volevo che mi scopasse,
ma la tentazione di scopare la sua bocca era troppo forte e lui
sapeva benissimo cosa mi piaceva a letto. Conosceva i miei punti
deboli e sapeva sempre stimolarli al meglio.
Con un colpo di lingua,
mi incoraggiò a muovermi.
«Dai,»
mormorò guardandomi fisso negli occhi. Ormai le sue pupille erano
cosi dilatate da non riuscire più a distinguere il colore delle
iridi. «Fai ciò che vuoi della mia bocca,» mi incitò.
Persi
il controllo. E, con esso, tutte le inibizioni. Lo afferrai per i
capelli e gli tenni ferma la testa mentre mi prendevo il mio piacere
cosi come lo preferivo: scopandogli la bocca come se non ci fosse un
domani. Sam accoglieva il mio cazzo lubrificandolo con la saliva,
accarezzava tutta la mia lunghezza con la lingua, mi avvolgeva
pizzicandomi con i denti, facendomi vibrare di piacere puro. Ero
davvero io ad avere il controllo?
Sentii
un fiume di lava incandescente iniziare a scorrere dentro di me,
avevo bisogno di venire, non avrei resistito ancora per molto. Non
era solo la sua bocca a mandarmi fuori di testa, era anche il suo
sguardo che non mi lasciava un attimo. C’era un desiderio così
forte in quegli occhi, ma anche una devozione e una tenerezza che mi
facevano incendiare ancora di più. Sapevo che Sam era innamorato di
me, ma quando la sua mano sinistra si muoveva sul mio corpo, mentre
mi teneva fermo per cercare un’angolazione migliore per leccarmi e
farmi suo, in quel momento vedevo l’anello al suo dito e sapevo.
Sapevo che eravamo legati non solo nei nostri cuori, ma anche davanti
a tutto il mondo.
Mi
bastò quel pensiero per far scuotere tutti e cinque i miei sensi. Il
mio respiro accelerò e affondai le mani nel piumone per ancorarmi a
qualcosa.
«Dio… Sam, non ce la
faccio più…»
«Sono qua, amore.
Forza…»
«Mi… mi fai sentire…»
balbettavo. Volevo parlare ma non riuscivo a farlo.
«Lo
so…» Sam mise entrambe le mani sulle mie ginocchia alzate, come a
volermi tenere fermo o, forse, più aperto per lui. Era un’immagine
cosi erotica che non mi serviva altro per raggiungere il culmine…
guardare il mio cazzo sparire nella sua bocca, sentire le sue mani
che mi dominavano… la scossa elettrica mi attraversò come un
fulmine colpisce un albero durante la tempesta. Mi sentii bruciare
dentro, sentii freddo e caldo allo stesso tempo. Tutto il mio piacere
si concentrò alla base della schiena e, come sapevo che sarebbe
successo, esplosi nella bocca di Sam, accompagnando il mio orgasmo
con un urlo liberatorio.
«Dio…» mi abbandonai sul letto
passandomi le mani tra i capelli bagnati di sudore. Le coperte erano
ormai un groviglio disordinato, e l’aria odorava di sesso.
Sam mi raggiunse e mi posò un bacio
leggero sul naso, dal momento che il mio respiro non si era ancora
regolarizzato. Mi guardò, toccandomi i capelli. I suoi occhi si
muovevano sul mio viso, come se volesse accarezzarmi con lo sguardo.
Poi, mi baciò di nuovo, questa volta sulle labbra, ma sempre con
delicatezza. Sentivo il suo cazzo duro contro la mia coscia nuda e,
anche se non si muoveva, potevo percepire la sua eccitazione come
elettricità nell’aria.
«Mi
hai fatto impazzire,» mormorai prendendogli la testa con le mani.
«Anche
tu,» mugolò. «Dio, Ad, se solo sapessi quanto mi fai eccitare…»
«E
allora che stai aspettando?» dissi in un sussurro. «Scopami.»
Sam si irrigidì al mio fianco e poi
si mise a cavalcioni sopra di me. Il suo cazzo eretto quasi a
contatto col mio viso. Fui tentato di avvicinarmi con la testa e di prenderglielo in bocca, ma lui fu più veloce. Indietreggiò
leggermente e mise le mani sui miei fianchi. La delicatezza di prima,
ormai, solo un lontano ricordo. Fece pressione, invitando a girarmi.
Una volta che fui disteso sulla pancia, fece scivolare una mano sotto
il mio stomaco per farmi sollevare sulle ginocchia.
«Le braccia e la testa tienile giù.»
«Okay.»
Percepii
un movimento dietro di me e qualche istante dopo sentii il rumore del
tappo del lubrificante che si apriva.
Dio, sì. Ti prego.
Qualche secondo due dita, ricoperte di
gel, picchiettarono sulla mia apertura. Ero alla sua mercé, mi
sentivo esposto e lo ero, in modo totale.
«Quanto cazzo sei bello,» la voce di
Sam mi arrivava forte e chiara, anche se potevo sentire una leggera
vibrazione.
«Dici?» lo provocai.
«Cristo, Ad. Sei uno spettacolo. Non
so cosa cazzo fare, non… non so da dove cominciare.»
«Lo sai da dove iniziare, Sam.
Fallo.»
Sam lasciò andare un sospiro poi le
sue dita bagnate scivolarono dentro di me.
«Oddio…»
Si muovevano, incessantemente. Dentro,
fuori, dentro, fuori. I muscoli del mio culo lo avvolgevano e io ero
affamato di lui, di quelle sensazioni che mi faceva provare.
Spinsi il culo indietro, perché
volevo di più, ancora di più. Era troppo cauto, troppo gentile.
«Forza,» sibilai. «Scopami come ti
piace.»
«Cristo, non sarò gentile...»
«Non voglio che tu lo sia.»
Le dita scivolarono fuori e, poco
dopo, avvertii la punta del suo cazzo nudo poggiarsi sulla mia
apertura. Dio, quanto lo volevo.
Sam prese un respiro e premette fino a
superare il primo anello di muscoli. Fu delicato, ma urgente. Fu
tenero, ma deciso. Ed era quello che amavo di lui. Il suo essere
uomo, ma anche bambino. Il suo essere forte, ma anche fragile. Con
un’unica, forte spinta fu dentro di me. Ringhiai e strinsi le
lenzuola tra le mani.
«Ci sei,» mormorai più a me stesso che a lui, «sei dentro di me.»
«Dove dovrei sempre stare,» fece lui
mentre mi premeva le mani sui fianchi in modo possessivo.
Da quel momento in poi non ragionai
più. Fu un susseguirsi di spinte, di gemiti, di ansiti. Fu venirsi
incontro e fondersi. Il suo cazzo scivolava dentro di me e quando
toccò la mia prostata non riuscii più a trattenermi e gemetti il
suo nome disperatamente.
«Dio…»
«Ad, non resisto più.»
«Io mi sono perso tre anni fa, Sam.»
Ansimai mentre mi sbatteva con più urgenza.
«Cristo, quanto ti amo.»
«E allora vieni dentro di me. Voglio
sentirti, ti prego.»
Sam si appoggiò a me, allungando le
braccia in avanti fino a raggiungere le mie mani. Intrecciò le dita
con le mie e i nostri anelli ticchettarono. Li guardammo entrambi per
un secondo, poi le spinte di Sam divennero più decise.
«Ti amo.» E lo amavo, Dio quanto lo
amavo.
Sam strinse ancora di più le mie mani
e lo sentii tremare sotto l’ultima forte spinta. Venne con il mio
nome sulle labbra, venne dentro di me e mi riempì della sua vita.
Poteva esserci qualcosa di più bello
di quello?
Era la felicità . La nostra felicità .
FINE
Trovate la dolcissima storia di Sam e Adam in "Mi fido di te" (Serie Un nuovo inizio #1).
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È possibile seguire Francesca Preziosi su Facebook alla pagina Francesca Preziosi Autrice
Biografia
Francesca Preziosi ha 35 anni e da due è mamma di un bellissimo bambino. Ama tutto ciò che è cambiamento, odia le abitudini, l'immobilità e le piace vivere alla giornata. Romana, ama il Veneto, dove tutt'oggi vive una parte del suo cuore. Si definisce un po' pigra, adora il divano, la coperta e un buon libro! Ma non per questo non le piace uscire, soprattutto se è in buona compagnia. Ha un bel gattone di nome Ariel, e la passione per la scrittura le riempie la vita!
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