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"Tornare a casa" - Una novella da "Mi fido di te" (Serie Un nuovo inizio #1) di Francesca Preziosi

Mancavano dieci minuti alle sette e io sentivo lo stomaco rimescolarsi sempre più ad ogni ticchettio dell'orologio. Mi tirai giù la manica della giacca mentre guardavo, nervosamente, le due borse che avevo appoggiato sul pavimento accanto alla porta d'ingresso: in una avevo sistemato le mie cose, nell'altra quelle di Sam. Mi chiesi se la mia fosse stata davvero una buona idea, perché dopo le prime due settimane di tirocinio Sam sarebbe stato sicuramente stanco, per non dire esausto. Conoscevo bene i ritmi di lavoro dell’Hope&Run, ma ancora di più conoscevo i turni massacranti dei fisioterapisti. Mi alzai dal divano e andai su e giù per la stanza. Non sapevo, in realtà, perché fossi così agitato. Io e Sam stavamo insieme da quasi tre anni e la nostra relazione andava a gonfie vele. Da quando si era trasferito a casa mia, poco dopo la nostra riconciliazione, le cose tra noi avevano ingranato nel modo giusto. Entrambi ne avevamo passate fin troppe, ed esserci incontrati durante il periodo della mia riabilitazione al centro fu la cosa più bella che potesse accaderci. Sam aveva anche recuperato il rapporto col padre, Clayton, che aveva accettato sin da subito la nostra relazione. Il ritmo delle mie pulsazioni cardiache aumentò al ricordo di una delle ultime conversazioni avute col Professor Donovan, che ora chiamavo Clay, sotto sua specifica richiesta.
«Qualcosa è cambiato in lui, Adam,» mi aveva detto una sera. «Ãˆ diverso in tante cose, e non mi riferisco soltanto all’evoluzione del nostro rapporto. Credo sia ben altro.»
«Cosa intendi dire?» gli avevo chiesto, mentre mi sistemavo comodamente sul divano. Parlare con Clayton mi era sempre venuto facile: era stato il mio psichiatra ed era diventato, ormai, il mio confidente preferito.
«Ãˆ più adulto in tutto quello che fa. Ed è sereno, felice. Lo vedo, Adam. Incontrarti è stata la cosa migliore che gli potesse accadere.» Le lacrime mi pungevano gli occhi e la mano destra aveva tremato finché Clayton non l'aveva coperta con la sua.
«Io...» avevo balbettato, «io penso di essere davvero fortunato. Lo amo, Clay. Lo amo più della mia vita.»
Clayton, gli occhi lucidi di pianto, mi aveva posato una carezza sulla guancia in modo tanto affettuoso da scaldarmi il cuore. «Adam,» aveva continuato poi, la voce rotta dall'emozione, «so che forse è prematuro parlarne ora, ma per me tu sei come un figlio. Ti voglio bene e sono orgoglioso di voi. Per questo,» si mosse verso il bordo del divano per avvicinarsi a me, «per questo voglio rendere formale questa vostra unione. Almeno per quel che mi riguarda.»
Mi ero sentito bruciare. «Cioè?» avevo chiesto in un sussurro.
Clayton si era umettato le labbra. «Ti includerò nel mio testamento, Adam. Voglio che ti prenda cura di Sam, nel caso dovesse succedermi qualcosa. Lo sai meglio di chiunque altro: io e Sam siamo la nostra famiglia. La mia ex moglie,» aveva fatto una pausa, stringendo le labbra in una smorfia, «Ã¨ come se non esistesse. Se dovesse accadermi qualcosa, Sam rimarrebbe da solo e questo non posso permetterlo. Ma ora,» mi aveva preso la mano, il suo tocco era caldo e sicuro, «ma ora ci sei tu accanto a lui. Non voglio farvi nessun tipo di pressione, siete entrambi molto giovani, me ne rendo conto. Sarei felice, se un giorno faceste il grande passo, ma è una scelta che appartiene a voi. Quello che vorrei, però, è avere la tua parola che mio figlio avrà sempre qualcuno su cui poter contare.»
Mi ero asciugato gli occhi col dorso della mano. Cosa mi stava dicendo Clayton? Voleva che ci sposassimo? Non ci avevo mai pensato, avevo trentatré anni e il matrimonio non era mai stato un progetto concreto. Avrei potuto farlo? Al di là di tutto, avrei potuto chiedere a Sam di sposarmi, magari un giorno? Non volevo farlo ora, non volevo che lui si sentisse oppresso o spaventato. Sam aveva venticinque anni e li viveva come un qualsiasi ragazzo della sua età. Eravamo una coppia affiatata, ma Sam aveva la sua cerchia di amici con i quali usciva spesso senza di me, amava andare in palestra e, di tanto in tanto, spariva qualche week end con un suo amico per andare a campeggiare. Io mi fidavo di lui, ma non potevo negare la punta di gelosia che mi torturava quando lo vedevo prepararsi per uscire, sapendo che non sarei stato accanto a lui. Uhm… un anello? Forse un anello mi avrebbe fatto sentire più sicuro... ma Sam? Si sarebbe spaventato? Si sarebbe chiuso a riccio?
Avevo ringraziato Clayton e gli avevo promesso che, prima o poi, ne avrei parlato con suo figlio.
Ora, forse, era arrivato il momento. Feci un respiro profondo e, proprio in quel momento, sentii la chiave nella toppa girare e Samuel stagliarsi sulla porta di casa. Aveva il borsone su una spalla e il cappello di lana gli copriva la fronte. Alzò lo sguardo non appena mise piede dentro casa e incontrò i miei occhi.
Sorrise, e il calore, l'amore e la gioia che lessi in quel sorriso mi fece tremare le ginocchia. Lanciò il borsone che cadde ai piedi del divano con un tonfo, chiuse la porta con un calcio e, ancora tutto vestito, mi raggiunse per prendermi tra le sue braccia.
«Amore mio,» mormorò mentre respirava il mio odore sul mio collo provocandomi un brivido in tutto il corpo.
«Ehi, bentornato,» dissi mentre gli passavo le mani tra i capelli. «Tutto bene?»
Mugolò. Dio, adoravo quando faceva cosi. «Mhm... adesso sì.»
Sorrisi. Non aveva ancora allentato la presa e io ero ben contento di sentirlo contro di me in quel modo. «Stanco?»
«Dio, sì. Non hai idea.»
«Allora ti riposerai in macchina.» Si staccò da me e mi guardò dritto negli occhi. Dio, quegli occhi erano così belli, intensi e… miei. Quando li posava su di me, quando mi guardava, mi sentivo l'unico uomo sulla terra. E tremavo, dentro e fuori.
«Macchina?»
Feci un cenno con la testa indicandogli le borse che avevo preparato. «Partiamo.»
«Cazzo, Ad. Sono esausto!» sbuffò ma senza rancore. Guardava le borse e - lo sapevo - era più curioso che arrabbiato. «E dove andremmo?»
«Ãˆ una sorpresa,» risposi enigmatico.
Sam si tolse la giacca, il cappello e la sciarpa. «C’entra qualcosa con il fatto che domani è San Valentino?»
«Mhm, forse,» risposi enigmatico, ma non riuscii a trattenere un sorrisino.
«Okay, posso fare una doccia prima?»
Sorrisi come un ebete. «Certo. Hai dieci minuti di tempo, poi si parte.»
Grugnì mentre apriva la porta del bagno. Dopo appena due minuti, sentii l'acqua scorrere.
Mi tirai di nuovo la manica della giacca. Mi avvicinai al mio borsone e controllai, per l'ennesima volta, che ci fosse tutto.
No, non tutto. Avrei potuto dimenticare qualsiasi cosa, ma la scatoletta di velluto nero... quella doveva esserci. E c'era.

Il tragitto in macchina fu tranquillo. Sam mi raccontò del centro, di come fosse stato accolto con calore dallo staff e di come si fosse sentito diverso ora che guardava tutto da un'altra ottica. Mi intenerì il suo sorriso, e mi commosse il suo sguardo pieno di fiducia e di voglia di fare. Mi raccontò dei ragazzi che aveva in cura, del timore che aveva provato al suo primo massaggio. Poi, ad un certo punto, la stanchezza ebbe il sopravvento e crollò addormentato. Ne fui contento, ero troppo teso e nervoso per essere di compagnia, quella sera.
Arrivammo al cottage intorno a mezzanotte.
«Svegliati, dormiglione, siamo arrivati!» esclamai dandogli un leggero colpetto sulla gamba. Sam si destò, si stiracchiò e posò il suo sguardo sulla casa di fronte a noi.
«Dove siamo? Si può sapere adesso?» chiese curioso mentre entrambi scendevamo dalla macchina.
Sorrisi e poi gli rivelai la mia sorpresa, o almeno una parte di essa. «Siamo a Raystown Lake. Il cottage che vedi è di Andrew, e lo ha messo a nostra disposizione per il week end.»
Sam emise un lungo fischio di approvazione. «Ma che spettacolo!»
«E non hai ancora visto il panorama,» sussurrai abbracciandolo da dietro. Sam mi prese le mani e le strinse tra le sue provocandomi un brivido lungo la spina dorsale.
«Bene, allora non vedo l'ora che sia giorno per ammirarlo con te.»
«Andiamo dentro, dai. È tardi e siamo stanchi entrambi.»
Prendemmo le borse e io recuperai le chiavi del cottage. Quando entrammo, ci avvolse un piacevole tepore. Andrew aveva chiesto ad un amico del posto di riordinare e di ripulire la casa e di rifornire il frigorifero dei viveri essenziali. L'interno del cottage era accogliente e tutto l'arredamento era in stile rustico. Accesi la luce e la prima cosa che notammo furono le enormi travi a vista sul soffitto. Sulla destra c'era un piccolo soggiorno, con un divano semicircolare posto di fronte ad un camino. L'ambiente era piccolo ma arredato con gusto e con ogni confort. Sulla sinistra, una porta a scomparsa rivelò una cucina piccola ma funzionale. Andando avanti scoprimmo altre due camere: quella padronale, in cui troneggiava un enorme letto king-size, un armadio a muro e un comò dove era stato sistemato un vaso di fiori freschi. L'ultima porta era quella del bagno. Posammo le borse ai piedi del letto e ci sedemmo entrambi, facendoci cadere all'indietro sul morbido materasso. Eravamo esausti.
Ci spogliammo e ci preparammo per la notte. Accendemmo il camino così che il calore arrivasse fin dentro la stanza, e ci accoccolammo sotto al piumone. Le lenzuola profumavano di pulito e, non appena appoggiai la testa sul cuscino, mi rilassai. Sam mi prese tra le sue braccia e iniziò a passare le sue mani tra i miei capelli. Ecco quello era il Paradiso.
«Mi sei mancato da impazzire,» sussurrò, la bocca sulla mia testa.
«Anche tu.»
«All'inizio di notte non riuscivo a dormire... mi mancava il contatto con il tuo corpo. Ero da solo, dentro quel letto, e mi chiedevo perché fosse così difficile respirare quando non ti ho accanto.»
Gemetti piano. «Anche per me è stato difficile. Allungavo la mano per cercare la tua, ma trovavo sempre il tuo lato freddo e vuoto. Mi intristivo ogni volta.»
«Ora abbiamo due giorni solo per noi e ho intenzione di godermeli tutti.» Mi strinse a sé e scivolò in basso in modo da essere l'uno accanto all'altro. Si voltò dalla mia parte e io sentii subito il suo fiato sulle mie labbra. Dopo qualche attimo di esitazione, mi lasciai andare alla sensazione meravigliosa che provavo ogni volta che Sam mi baciava. Amavo il modo in cui giocava con la mia bocca, le mie labbra, la mia lingua. Adoravo la passione che metteva in ogni tocco, anche il più lieve, anche il più delicato. Gli accarezzai la schiena lentamente e mi abbandonai a lui come avevo fatto ogni notte negli ultimi tre anni della mia vita.

La mattina dopo ci alzammo di buon’ora e andammo in città per fare colazione e goderci una passeggiata in riva al lago. Come avevamo previsto, il panorama che ci si presentò davanti agli occhi tolse il fiato ad entrambi. La casa di Andrew era situata su una piccola collina da cui si poteva ammirare buona parte del lago. Il colore dell’acqua era di un blu profondo, tendente al verde smeraldo e, sulla riva, apparivano cespugli di vegetazione più o meno rigogliosi. Il cielo, di un azzurro pieno, nitido, contrastava con il verde dell’acqua creando giochi di colore che incantavano la vista. Era uno spettacolo meraviglioso e rilassante.
Ma ci fu qualcosa che colpì Samuel ancora più del panorama. Dalla porta finestra della nostra camera da letto si accedeva ad una piccola veranda coperta, che ospitava sul lato destro un divano e alcune poltrone in vimini, sul lato sinistro, invece, un’enorme Jacuzzi.
L’espressione di Sam fu di puro godimento e io non potei non ridere di gusto. Quella notte sarebbe stata indimenticabile, me lo sentivo fin dentro le viscere e non potei non lasciarmi sfuggire un gemito basso al pensiero di ciò che ci aspettava.
Pranzammo in riva al lago chiacchierando del più e del meno. Parlai a Sam del mio lavoro e lui mi parlò dei giorni trascorsi a New York in compagnia del padre e di Louise, la sua compagna.
Tornammo a casa solo nel tardo pomeriggio, un po’ stanchi ma rilassati e felici.
«Cosa hai voglia di mangiare per cena?» mi chiese Sam mentre ispezionava il contenuto del frigorifero.
Gli lanciai uno sguardo divertito mentre mi affaccendavo per accendere il camino. «Oh, quello che vuoi tu. Mi piace tutto ciò che cucini, lo sai!»
Lo sentii ridacchiare. «Sei un adulatore.»
«Guarda che ti ho sentito.»
«Ho solo detto che sei un amore, che avevi capito?» gridò dalla cucina. Lo sentivo spadellare e il rumore delle stoviglie mi fece pensare alla nostra quotidianità. Per un anno avrei dovuto rinunciare a tutto questo, sospirai.
Ci cambiammo e indossammo abiti più comodi: pantaloni della tuta e maglietta per entrambi. Lui era incredibilmente bello, aveva scelto una maglietta bordeaux con la stampa di un famoso dipinto di Picasso. L’avevamo comprata durante un viaggio a Madrid qualche anno prima.
Cenammo nella piccola cucina, Sam mise in tavola un piatto di spaghetti al sugo e aprimmo una bottiglia di vino che avevamo acquistato nel pomeriggio durante il giro in città. Dopo aver cenato, io lavai i piatti mentre Sam curiosava per la casa e, ne ero sicuro, riponeva la sua attenzione sul funzionamento della Jacuzzi. Mi asciugai le mani proprio nel momento in cui le sue braccia mi circondarono il bacino da dietro.
«Finito?» mi chiese. Le labbra sul mio collo.
«Sì, adesso. Che programmi abbiamo?» risposi facendo il finto tonto.
«Beh, intanto, buon San Valentino, amore, non te lo avevo ancora detto.»
«Neanche io, hai ragione. Buon San Valentino! Allora, come pensavi di festeggiare?» Lo sentii sorridere sulla mia pelle e il mio uccello sussultò nei pantaloni. Mi stava solo sfiorando e io già sentivo che avrei potuto perdere il controllo.
«Io un’idea ce l’avrei,» mormorò facendomi voltare. Mi guardò negli occhi con uno sguardo carico di desiderio e di affetto. I suoi occhi erano di un color castano chiaro, a volte quando i raggi del sole sfioravano le sue iridi diventavano quasi verdi. In quel momento, invece, erano scuri e profondi, le pupille dilatate. Feci scorrere il mio sguardo sul suo viso, la barba appena accennata, il naso delicato, la mascella sicura. Le sue labbra erano leggermente socchiuse e quando mi scostò una ciocca di capelli dal viso e si avvicinò, fui sicuro che stesse per baciarmi. Invece passò oltre la mia bocca e strofinò la sua guancia contro la mia, inspirando il mio odore. Fu un gesto che voleva dire tutto, ma soprattutto fu un modo per dirmi quanto mi desiderasse in quel momento.
«Dio, Sam… mi fai impazzire quando fai così…» alitai sul suo collo, gli occhi chiusi, le mani sui suoi fianchi.
Sam si avvicinò a me ancora di più premendo il suo bacino contro il mio. Era eccitato, proprio come me e quel tocco leggero fu abbastanza per farmi morire il fiato in gola. Non facevamo l’amore da due settimane e, per quanto mi riguardava, era come se fossero passati mesi. Bramavo le sue carezze, i suoi baci, la sua stretta decisa. Volevo sentirmi la sua bocca addosso, ovunque. Volevo la sua lingua, il suo respiro, i suoi baci umidi e affamati.
«Adesso possiamo finalmente fare l’amore?» domandò senza guardarmi in faccia. «Perché se non ti scopo prima possibile, potrei impazzire.»
Avvampai e mi strinsi a lui ancora un po’. Gli passai le mani sulla schiena e gli leccai la pelle dietro l’orecchio, dove sapevo lo avrei fatto impazzire. «Potrei venire anche solo nel sentirti pronunciare la parola “scopare”, se poi è rivolta a me…»
«Allora riformulo la domanda,» continuò mentre le sue mani scendevano verso il mio culo. I pantaloni che indossavo erano leggeri e potevo sentire la pressione del suo tocco. Fece scivolare le sue mani dentro i pantaloni, poi, superò anche l’elastico dei miei boxer. Percepii ancora di più il calore quando la sua pelle toccò la mia.
«Adesso posso scoparti?» passò la mano tra le mie natiche facendo scivolare un dito fino a sfiorare la mia apertura. Sussultai e gemetti sul suo collo, muovendo lievemente il culo verso la sua mano. Ma Sam non era tipo da gesti frettolosi, o almeno non lo avrebbe mai fatto quando avevamo a disposizione una Jacuzzi e un letto comodo su cui rotolarci. Per non parlare del tappeto davanti al camino. Rabbrividii di aspettativa.
«Dio, sì­» risposi senza esitare.
Dio solo sapeva quanto bisogno avessi di sentirlo dentro di me.
Mi prese per mano e andammo nella nostra camera. La finestra era socchiusa e, dalla veranda, proveniva il rumore dell'acqua che gorgogliava dentro la vasca. Sam si fermò al centro della stanza, tenendomi per mano. Il mio cuore batteva impetuosamente dentro la cassa toracica, nello stomaco sentivo mille farfalle svolazzare provocandomi una sensazione di desiderio, aspettativa e lussuria. Avevo bisogno di fare l'amore con lui, ma non era solo quello ciò che desideravo: volevo sentire Sam dentro di me, volevo sentire di appartenere a lui, di essere suo senza eccezioni, anche se la vita ci stava allontanando. Non ero insicuro, perché conoscevo i suoi sentimenti così come conoscevo i miei, volevo solo che riempisse quel senso di vuoto che si era creato nel mio cuore quando, solo due settimane prima, era partito per vivere la sua avventura. Senza di me.
Sam mi abbracciò e io lasciai per l'ennesima volta che quell’abbraccio mi avvolgesse, sia dentro che fuori. Era straordinariamente protettivo, era dolce come non lo avevo mai visto, mi chiesi se non si fosse accorto di ciò che provavo e stesse tentando di comunicarmi i suoi sentimenti con quei piccoli gesti.
Ma io non volevo essere rassicurato in quel modo. Volevo che mi prendesse, volevo che mi facesse sentire la sua possessività fin dentro le ossa, volevo che mi dicesse che ero suo, in tutte le vite possibili.
«Amore mio,» lo sentii sussurrare, poco prima di avvertire le sue labbra sul mio collo. Scostò dolcemente i miei capelli e io alzai le braccia per legarli con l’elastico che tenevo sempre al polso, ma lui mi fermò. «No. Non legarli. Voglio sentirli tra le mie mani.» Un fremito mi attraversò il corpo e affondai le mani nei suoi fianchi.
«Andiamo?» Indico la piscina con un cenno del capo.
«Andiamo.»
Ci spogliammo tenendo solo i boxer e uscimmo nella veranda coperti solo da un asciugamano. La serata era fredda, ma dalla Jacuzzi proveniva una bella nuvola di vapore che ci invogliò ad entrare.
«Dio che meraviglia!» esclamai mentre mi sistemavo. L'acqua era calda al punto giusto, la mia pelle rigenerata dopo le ustioni riusciva a sopportare anche le temperature più calde e non potei trattenere un gemito gutturale.
Sam entrò nella vasca, mi si avvicinò, allargò le gambe e si sedette sulle mie cosce, facendo scivolare le ginocchia intorno ai miei fianchi.
«Non me ne frega niente della Jacuzzi, Ad. In questo momento voglio soltanto baciarti fino a sentirmi male. Cristo, mi sei mancato così tanto da sentire male al cuore quando ti pensavo. Ho bisogno di sentirti sopra di me, ho bisogno di sapere che sei mio, ho bisogno di affondare dentro di te.»
«Cristo, Sam...»
Mi avvolse le mani sul collo, afferrò i miei capelli e li tirò in modo che la mia bocca fosse esposta. Non gli toglievo gli occhi di dosso, il mio cazzo era così duro da farmi male, avevo la gola secca e non riuscivo a far altro che pensare al momento in cui il suo uccello sarebbe scivolato dentro il mio culo. Forte, forte, sempre più forte. La tenerezza non era contemplata, non in quel momento.
Mi baciò con una voracità che mi sconvolse, morse le mie labbra fin quasi a farmi gemere di dolore, prese la mia lingua e ne fece ciò che più preferiva. Mi invase la bocca, mi bagnò con la sua saliva, mente il suo bacino spingeva contro il mio. Con un movimento di cui mi accorsi a malapena, tolse prima i miei boxer e poi i suoi. Il suo cazzo bagnato si scontrò col mio e mi sembrò di sentirlo gemere nella mia bocca. Feci scivolare le mie mani sulla sua schiena bagnata e gli afferrai il culo spingendolo verso di me con un movimento deciso che non poteva essere frainteso.
«Quando ti decidi a scoparmi?» chiesi, la mia voce assomigliava ad un basso ringhio. Stavo perdendo la testa. Spinsi di nuovo il mio bacino contro il suo mentre lui mi afferrava il cazzo in un modo che voleva dire "mio, mio e solo mio."
«Vai di fretta?» Mi ansimò addosso. La sua voce era roca, graffiante. Mentre io stavo perdendo il controllo, lui lo prendeva. Amavo il modo in cui mi possedeva, come mi faceva sentire suo. Era ciò di cui avevo bisogno, e lo volevo subito.
«Sì. Ho bisogno di te, ho bisogno che mi scopi. E non voglio che ci vai piano.»
«Oh,» mormorò mentre mi addentava il lobo dell'orecchio, «non ne avevo nessuna intenzione, tranquillo.»
«Allora usciamo di qua. Subito.»
Si scostò da me per uscire dalla vasca e io senti il gelo coprire il mio corpo. Dio, potevo desiderarlo più di così? Potevo sentirmi così bisognoso del suo tocco?
Non feci neanche in tempo a gettare a terra il telo che Sam mi prese da dietro con un gesto deciso, appoggiò tutto il suo peso su di me e ci sbilanciammo in avanti fino a quando non incontrammo il letto. Gettai le mani sul materasso per tenermi in equilibrio e lui mi strinse a sé. Le sue mani trovarono il mio petto, ma non si persero in carezze gentili. Dopo pochi secondi sentii le sue dita trovare entrambi i miei capezzoli, stringerli con fare deciso facendomi piegare in avanti sotto una sferzata improvvisa di piacere.
«Cazzo sì. Si...»
Sfiorò le punte turgide e io quasi persi il respiro. Il suo corpo nudo e umido aderiva al mio, scivolando leggermente. Sentii il suo cazzo a contatto con il mio sedere e ogni volta che mi stuzzicava i capezzoli, non potevo non piegarmi in avanti, non resistevo alla tentazione di strisciare il culo contro il suo uccello, duro come il marmo. Volevo di più, volevo ancora di più.
«Sam...»
«Mhm...» Fece scivolare le mani sui miei fianchi. Strinse.
«Ti prego.»
«Cosa vuoi?»
Gli presi una mano e me la portai vicino alla bocca. Leccai il suo dito medio, inondandolo di saliva, facendo in modo che fosse ben lubrificato.
«Oh Cristo.» Mi morse la spalla, con delicatezza. Ritirò la mano e la passo sulla pelle della mia schiena, lentamente.
A quel punto non mi importava più di nulla perché sapevo che presto sarebbe successo.
Mi accarezzò le natiche e fece sparire la mano più in basso, tra le mie cosce. Mi afferrò le palle e le strinse provocandomi un’onda d'urto che mi bloccò il respiro nel petto. Poi risalì, lentamente, affondando il dito bagnato dentro le mie natiche fino a fermarsi sulla mia apertura. Dio, mi sentivo una miccia pronta ad esplodere se solo mi avesse sfiorato. Volevo esplodere, volevo disintegrarmi in mille pezzi per poi lasciare che lui mi ricomponesse.
Il dito di Sam fece pressione e io mi rilassai per far in modo che non trovasse resistenza.
Non la trovò. Mi scivolò dentro senza incertezza e io mi persi in quella prima sensazione.
«Dio sì...»
«Così?» Mi chiese mentre il dito scivolava dentro di me, sempre più a fondo, sempre più nel profondo. «Ti piace?»
Annuii. Non riuscivo a parlare, non riuscivo a respirare, ad articolare anche solo una frase breve, concisa. Samuel mi prese per un fianco e aggiunse un altro dito. Mi stava preparando con amore, lo sentivo. Anche nei momenti più passionali e forti non aveva mai tralasciato quel passaggio, era sempre attento, premuroso. Fece scivolare le dita fuori e si allontanò lasciandomi piegato con le braccia in avanti. Mi raddrizzai e mi girai per guardarlo mentre si piegava per cercare il lubrificante nella mia borsa. In quel momento realizzai cosa sarebbe successo e, per un attimo, ebbi paura che le gambe non mi avrebbero sorretto. 
Samuel si immobilizzò. Lo vidi alzarsi lentamente, la schiena nuda tesa, le spalle leggermente contratte. Quando si voltò, poco dopo, stringeva la scatola di velluto nero in una mano. Piantò i suoi occhi profondi su di me e io mi sentii ancora più nudo. Avevo paura di alzare lo sguardo, avevo paura di leggere apprensione, incertezza e, sì, anche timore. Non volevo sentire di aver perso ancor prima di averci provato, non volevo che pensasse che ciò che avevamo non potesse bastarmi più. 
Alzai gli occhi e lo guardai. «Sam, io...» balbettai, preso dal panico, abbassando di nuovo gli occhi. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, che, in realtà, sembrava più curioso che arrabbiato.
            Sam tornò da me con pochi passi. Una mano stringeva la scatoletta, l’altra il tubetto di lubrificante. Mi venne da ridere.

«Era previsto che trovassi solo il lubrificante,» dissi tentando di rompere il ghiaccio. Rise, così alzai gli occhi di nuovo. Mi stava guardando con amore, con dolcezza. Mi tremò il cuore e mi feci coraggio. «Invece, hai trovato ben altro.»
«Eh già.» Gettò il tubetto sul letto e tornò a guardarmi.
Si sedette e io lo imitai. Presi la scatoletta dalle sue mani e lui me lo lasciò fare. «Non è quello che pensi.»
«Uhm, cosa penso secondo te?»
Sospirai leggermente. «Non è una proposta.»
«Ah no?» Sembrava stupito, quasi deluso.
Cosa?
«No.»
«Oh. Beh, peccato.»
Il mio cuore galoppò.
«Peccato?» Chiesi, una sfumatura di apprensione nella mia voce.
Sam si strofinò un occhio col palmo di una mano. «Che ne dici se ci mettiamo sotto le coperte? Siamo entrambi nudi, non mi sembra il modo migliore per sostenere una conversazione di questo tipo. Mi distrai.»
Risi. «Davvero?»
«Certo. E poi sono ancora su di giri... Quindi, dai, vieni.»
Tenevo ancora la scatolina tra le mani e ci giocherellai per qualche secondo prima di deglutire e di iniziare a parlare. Sam sapeva che avevo bisogno di qualche secondo, e me lo concesse, rimanendo in silenzio mente passava le sue dita tra i capelli umidi.
«Prima ho detto che non intendevo farti una proposta,» iniziai mentre mi accomodavo così da guardarlo negli occhi. La sua espressione era tranquilla, le labbra erano rilassate, tese in un’espressione che somigliava ad un sorriso di aspettativa. Mi guardava negli occhi e io mi sentii più sicuro di me. «Ed è vero, Sam. Non sto per chiederti di sposarmi. Sei giovane, siamo giovani entrambi. Non ho mai pensato seriamente al matrimonio o, comunque, non in modo tale da vederlo come qualcosa di concreto o a breve termine. Non mi serve un pezzo di carta da firmare per sapere che mi prenderò cura di te per sempre. Ma...»
Sam mi prese la mano e inizio a giocherellare con le mie dita. Le accarezzava una per una, delicatamente. Mi ci volle uno sforzo non indifferente per evitare di pensare che le sue mani, solo poco prima, erano strette sui miei fianchi.
«Ma?»
«Ma vorrei comunque che ci impegnassimo un po' di più.» Buttai fuori.
Aprii la scatolina e tirai fuori due anelli in oro bianco. Erano molto semplici, lisci e tondeggianti. All'interno avevo fatto incidere solo i nostri nomi, il mio nome nel suo anello, il suo nome nel mio. Sentii Sam sospirare e alzai timidamente gli occhi. Li tenevo nel palmo della mano, aspettando una reazione da parte sua. Quando vidi Sam prendere l’anello più grande, le sue dita erano più grandi delle mie, quasi mi tremò il cuore nel petto.
«Un impegno?» Sussurrò mentre guardava l'incisione dentro l'anello. «Io ti amo più della mia vita, Adam. Sei stato la mia salvezza, l'ancora a cui mi sono aggrappato quando stavo affogando.»
«Anche tu.»
«Non... Non potrei sopportare il pensiero di perderti, non potrei vivere senza di te. E so che sei spaventato dal fatto che sto per iniziare questa nuova avventura lontano da te ma... io sono tuo. Tuo. Lo sono qui, in questo letto, lo sono nella nostra casa, nella nostra città e ovunque io vada. Tuo Adam. Sempre.»
«Io...» Non riuscivo a trattenere le lacrime o, forse, neanche volevo farlo perché sentii le mie guance bagnarsi. «Anche io ti amo. E so che può sembrare stupido o infantile, ma vorrei che tutto il mondo sapesse che ci apparteniamo. E che io sono tuo.» Gli tolsi l’anello dalle mani e glielo infilai all'anulare. Stavo per fare lo stesso col mio, ma lui mi fermò. Prese l’anello, lo baciò e me lo fece indossare. Quel bacio... Fu come se mi avesse baciato il cuore.
«Mi piacciono,» disse Sam con la voce carica di emozione mentre guardava le nostre mani. «E finalmente ora tutto il tuo ufficio saprà che sei off-limits,» ridacchiò.
«Il mio ufficio?»
«Certo. Sono stanco di assistere agli sguardi di fuoco che ti manda il tizio della contabilità. Lo vedo, sai? E mi sono stancato di doverti sempre mettere una mano sul culo per fargli capire di chi sei.»
Lasciai andare una risata. «Tu cosa?»
Sam affondò la testa sulla mia spalla ridendo di gusto. Mi avvolse le braccia intorno alla vita in un gesto possessivo. "Mio." Mormorò.
Dio, se ero suo.
«Ãˆ un bellissimo regalo di San Valentino,» disse pensoso. «Io, però, non ti ho preso nulla.»
«Questo non è un regalo solo per te. È un regalo per noi.»
«Ãˆ vero. Questo è uno dei più bei giorni della mia vita.»
Gli feci un sorrisone, poi scivolai sul materasso e cercai la sua bocca. Mi persi in quel bacio che sapeva di tante cose: sapeva di amore, sapeva di fiducia, sapeva di rispetto e di condivisione. Ero felice perché Sam la pensava come me, ero felice perché aveva le mie stesse paure, le mie stesse insicurezze.
Mentre mi perdevo dentro quel bacio, mi resi conto che Samuel era diventato il centro della mia vita, della mia esistenza. Non era solo il mio compagno, lui era la mia famiglia... Perché noi, come coppia, eravamo una famiglia. E niente avrebbe potuto scalfire tutto questo, non avrei permesso a niente e nessuno di togliermi ciò che avevo di più prezioso.
Sam mi fece girare sulla schiena. Mi baciò il collo, la mascella, la clavicola. Ringhiai mentre mi leccava un capezzolo, sobbalzai quando strinse il mio cazzo tra le mani. Era sdraiato sopra di me, in mezzo alle mie gambe. Avevo tirato su le ginocchia per farlo sistemare meglio e ora mi godevo lo spettacolo di lui che scendeva con la bocca lungo il mio corpo. Sapevo cosa stava per fare e non potevo non fremere al solo pensiero. Mentre con le dita mi accarezzava i fianchi e le gambe, io gli posai le mani tra i capelli, mostrandogli quale fosse la strada che avrebbe dovuto percorrere. Lo vidi sorridere, malizioso, poco prima di far sparire il mio uccello tra le sue labbra bagnate.
Gemetti senza vergogna e mi lasciai strattonare dalla sensazione di essere dentro la sua bocca. Era un posto meraviglioso e Sam sapeva usare cosi bene la lingua da farmi dimenticare persino il mio nome. Inarcai la schiena e gli andai incontro col bacino. Volevo che mi scopasse, ma la tentazione di scopare la sua bocca era troppo forte e lui sapeva benissimo cosa mi piaceva a letto. Conosceva i miei punti deboli e sapeva sempre stimolarli al meglio.
Con un colpo di lingua, mi incoraggiò a muovermi.
«Dai,» mormorò guardandomi fisso negli occhi. Ormai le sue pupille erano cosi dilatate da non riuscire più a distinguere il colore delle iridi. «Fai ciò che vuoi della mia bocca,» mi incitò.
Persi il controllo. E, con esso, tutte le inibizioni. Lo afferrai per i capelli e gli tenni ferma la testa mentre mi prendevo il mio piacere cosi come lo preferivo: scopandogli la bocca come se non ci fosse un domani. Sam accoglieva il mio cazzo lubrificandolo con la saliva, accarezzava tutta la mia lunghezza con la lingua, mi avvolgeva pizzicandomi con i denti, facendomi vibrare di piacere puro. Ero davvero io ad avere il controllo?
Sentii un fiume di lava incandescente iniziare a scorrere dentro di me, avevo bisogno di venire, non avrei resistito ancora per molto. Non era solo la sua bocca a mandarmi fuori di testa, era anche il suo sguardo che non mi lasciava un attimo. C’era un desiderio così forte in quegli occhi, ma anche una devozione e una tenerezza che mi facevano incendiare ancora di più. Sapevo che Sam era innamorato di me, ma quando la sua mano sinistra si muoveva sul mio corpo, mentre mi teneva fermo per cercare un’angolazione migliore per leccarmi e farmi suo, in quel momento vedevo l’anello al suo dito e sapevo. Sapevo che eravamo legati non solo nei nostri cuori, ma anche davanti a tutto il mondo.
Mi bastò quel pensiero per far scuotere tutti e cinque i miei sensi. Il mio respiro accelerò e affondai le mani nel piumone per ancorarmi a qualcosa.
«Dio… Sam, non ce la faccio più…»
«Sono qua, amore. Forza…»
«Mi… mi fai sentire…» balbettavo. Volevo parlare ma non riuscivo a farlo.
«Lo so…» Sam mise entrambe le mani sulle mie ginocchia alzate, come a volermi tenere fermo o, forse, più aperto per lui. Era un’immagine cosi erotica che non mi serviva altro per raggiungere il culmine… guardare il mio cazzo sparire nella sua bocca, sentire le sue mani che mi dominavano… la scossa elettrica mi attraversò come un fulmine colpisce un albero durante la tempesta. Mi sentii bruciare dentro, sentii freddo e caldo allo stesso tempo. Tutto il mio piacere si concentrò alla base della schiena e, come sapevo che sarebbe successo, esplosi nella bocca di Sam, accompagnando il mio orgasmo con un urlo liberatorio.
«Dio…» mi abbandonai sul letto passandomi le mani tra i capelli bagnati di sudore. Le coperte erano ormai un groviglio disordinato, e l’aria odorava di sesso.
Sam mi raggiunse e mi posò un bacio leggero sul naso, dal momento che il mio respiro non si era ancora regolarizzato. Mi guardò, toccandomi i capelli. I suoi occhi si muovevano sul mio viso, come se volesse accarezzarmi con lo sguardo. Poi, mi baciò di nuovo, questa volta sulle labbra, ma sempre con delicatezza. Sentivo il suo cazzo duro contro la mia coscia nuda e, anche se non si muoveva, potevo percepire la sua eccitazione come elettricità nell’aria.
«Mi hai fatto impazzire,» mormorai prendendogli la testa con le mani.
«Anche tu,» mugolò. «Dio, Ad, se solo sapessi quanto mi fai eccitare…»
«E allora che stai aspettando?» dissi in un sussurro. «Scopami.»
Sam si irrigidì al mio fianco e poi si mise a cavalcioni sopra di me. Il suo cazzo eretto quasi a contatto col mio viso. Fui tentato di avvicinarmi con la testa e di prenderglielo in bocca, ma lui fu più veloce. Indietreggiò leggermente e mise le mani sui miei fianchi. La delicatezza di prima, ormai, solo un lontano ricordo. Fece pressione, invitando a girarmi. Una volta che fui disteso sulla pancia, fece scivolare una mano sotto il mio stomaco per farmi sollevare sulle ginocchia.
«Le braccia e la testa tienile giù.»
«Okay.»
Percepii un movimento dietro di me e qualche istante dopo sentii il rumore del tappo del lubrificante che si apriva.
Dio, sì. Ti prego.
Qualche secondo due dita, ricoperte di gel, picchiettarono sulla mia apertura. Ero alla sua mercé, mi sentivo esposto e lo ero, in modo totale.
«Quanto cazzo sei bello,» la voce di Sam mi arrivava forte e chiara, anche se potevo sentire una leggera vibrazione.
«Dici?» lo provocai.
«Cristo, Ad. Sei uno spettacolo. Non so cosa cazzo fare, non… non so da dove cominciare.»
«Lo sai da dove iniziare, Sam. Fallo.»
Sam lasciò andare un sospiro poi le sue dita bagnate scivolarono dentro di me.
«Oddio…»
Si muovevano, incessantemente. Dentro, fuori, dentro, fuori. I muscoli del mio culo lo avvolgevano e io ero affamato di lui, di quelle sensazioni che mi faceva provare.
Spinsi il culo indietro, perché volevo di più, ancora di più. Era troppo cauto, troppo gentile.
«Forza,» sibilai. «Scopami come ti piace.»
«Cristo, non sarò gentile...»
«Non voglio che tu lo sia.»
Le dita scivolarono fuori e, poco dopo, avvertii la punta del suo cazzo nudo poggiarsi sulla mia apertura. Dio, quanto lo volevo.
Sam prese un respiro e premette fino a superare il primo anello di muscoli. Fu delicato, ma urgente. Fu tenero, ma deciso. Ed era quello che amavo di lui. Il suo essere uomo, ma anche bambino. Il suo essere forte, ma anche fragile. Con un’unica, forte spinta fu dentro di me. Ringhiai e strinsi le lenzuola tra le mani.
«Ci sei,» mormorai più a me stesso che a lui, «sei dentro di me.»
«Dove dovrei sempre stare,» fece lui mentre mi premeva le mani sui fianchi in modo possessivo.
Da quel momento in poi non ragionai più. Fu un susseguirsi di spinte, di gemiti, di ansiti. Fu venirsi incontro e fondersi. Il suo cazzo scivolava dentro di me e quando toccò la mia prostata non riuscii più a trattenermi e gemetti il suo nome disperatamente.
«Dio…»
«Ad, non resisto più.»
«Io mi sono perso tre anni fa, Sam.» Ansimai mentre mi sbatteva con più urgenza.
«Cristo, quanto ti amo.»
«E allora vieni dentro di me. Voglio sentirti, ti prego.»
Sam si appoggiò a me, allungando le braccia in avanti fino a raggiungere le mie mani. Intrecciò le dita con le mie e i nostri anelli ticchettarono. Li guardammo entrambi per un secondo, poi le spinte di Sam divennero più decise.
«Ti amo.» E lo amavo, Dio quanto lo amavo.
Sam strinse ancora di più le mie mani e lo sentii tremare sotto l’ultima forte spinta. Venne con il mio nome sulle labbra, venne dentro di me e mi riempì della sua vita.
Poteva esserci qualcosa di più bello di quello?
Era la felicità. La nostra felicità.

FINE



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Biografia 
Francesca Preziosi ha 35 anni e da due è mamma di un bellissimo bambino. Ama tutto ciò che è cambiamento, odia le abitudini, l'immobilità e le piace vivere alla giornata. Romana, ama il Veneto, dove tutt'oggi vive una parte del suo cuore. Si definisce un po' pigra, adora il divano, la coperta e un buon libro! Ma non per questo non le piace uscire, soprattutto se è in buona compagnia. Ha un bel gattone di nome Ariel, e la passione per la scrittura le riempie la vita!

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